Quando ci occupiamo di cura e accompagnamento, ci sono anche questi due aspetti da tenere a mente: l’aiuto spirituale e l’aiuto religioso. A volte si intrecciano, ma ognuno ha caratteristiche proprie e serve a rispondere a bisogni profondi dell’essere umano. Capirli bene non è solo teoria, può guidarci davvero a ascoltare, stare accanto e rispettare ogni persona, riconoscendo le strade diverse che ognuno può seguire per dare senso alla propria vita.
Racconta una signora di origine musulmana che, mentre si prendeva cura di una malata incurabile, su richiesta e in alcuni momenti della giornata, la aiutava a pregare secondo la religione cristiana, ma non era una preghiera sua. Diceva parole cristiane, parole che non aveva mai detto con il cuore, ma lo faceva per offrire una presenza, dare conforto con una voce che tremava un po’, senza capire davvero il significato di quelle parole. Non era una convertita, era una “carezza”.
Questo esempio per capire come l’aiuto spirituale sia una cosa che nasce da un rapporto tra il malato e chi l’accompagna.
È tutto centrato su chi ha bisogno: non si fa nessuna supposizione su cosa pensa o su come viva. Si basa sull’ascolto, sulla presenza e sul sostegno nel trovare un senso a ciò che vive di fronte a sofferenza, perdita, malattia o cambiamenti importanti. Non pretende di dare risposte già pronte, ma permette al malato di esprimere la propria voce, i propri dubbi morali e i propri desideri di speranza e di dignità. In questo modo la spiritualità può avere forme diverse, come un momento di silenzio, una riflessione guidata, una pratica di mindfulness, piccoli riti personali, o aiuto nel ritrovare motivi di valore e scopo. L’essenziale è che l’intervento sia su misura di chi è assistito, e rispetti le sue convinzioni e la sua autonomia.
L’aiuto religioso si dà dentro le credenze, i valori e le abitudini di una comunità di fede. È qualcosa
che nasce dal gruppo: i sacramenti, le preghiere fatte insieme, i riti, gli insegnamenti e le regole che guidano le decisioni, i comportamenti e la vita di tutti i giorni. Così la persona si sente parte di una tradizione e può trovare sostegno nella comunità e nel patrimonio spirituale che condivide. Però può anche creare difficoltà: se non si tiene conto della persona, si rischia di imporre scelte in situazioni delicate. Per questo è importante che l’assistenza religiosa sia data con rispetto, consenso e sensibilità al contesto di chi la riceve. L’assistenza religiosa, al suo meglio, è soprattutto spirituale. Una pratica religiosa è davvero utile quando nasce dal desiderio di dare senso, dalla compassione e dall’attenzione alla persona: così può offrire profondità, conforto e speranza che vanno oltre le dispute sulle idee. L’aiuto religioso diventa spirituale quando mette al centro la dignità della persona, non impone nulla, chiede consenso e affronta in modo chiaro le esigenze individuali.
In contesti diversi o laici, questa tensione tra tradizione e ascolto della persona è importante: si può riconoscere che le pratiche sacre possono convivere con una visione laica o aperta a molte opinioni, senza togliere libertà a nessuno.
L’assistenza spirituale e l’assistenza religiosa offrono risposte diverse a bisogni profondi: l’una privilegia una relazione centrata sull’individuo e sull’esperienza del senso annullando ipotesi predefinite sulle credenze, l’altra radica il supporto nel tessuto di una comunità di fede e nelle sue pratiche. L’obiettivo comune è promuovere dignità, conforto, speranza e una presenza autentica, capace di accompagnare l’individuo nel momento della fragilità senza ridurlo a etichette o confini religiosi.
Marco Bracco
Volontario AVAPO Mestre