2025ESSERE CAREGIVER OGGI

L’assunto per capire l’importanza e la centralità del caregiver nelle politiche sociali è banale quanto ineludibile: in un’epoca in cui la vita umana si allunga, il tempo del prendersi cura si prolunga. Tutti conosciamo il tema della cura di persone non autosufficienti, direttamente o meno: nella mia professione, in contatto con le famiglie di alunni con necessità di supporto intensivo, trarre conclusioni è quasi spontaneo. Il rischio è di inferire dall’esperienza delle conclusioni non necessariamente universalistiche. Sulla mia ho basato alcune riflessioni, anche a partire dalla mia tesi di laurea del 1994 “I tempi delle donne, i tempi della città”. Tra queste, che il tempo della cura, specie in Italia, grava

e impatta prevalentemente sulle donne, togliendo spazi e tempi per sé e per il recupero psicofisico. Le donne, spesso

non riconoscendoselo, assumono il ruolo di caregiver, specie in ambito familiare.

Per verificare tale affermazione,

mi sono basata sull’ultima ricerca Istat “I tempi della vita quotidiana. Lavoro, conciliazione, parità di genere e

benessere soggettivo” (2019) e sul rapporto del CNEL “Il valore sociale del caregiver” (ottobre 2024).

Il caregiver informale è la persona che fornisce assistenza a titolo gratuito a qualcuno con una malattia o disabilità cronica o altra esigenza di cure durature, al di fuori di un rapporto professionale/lavorativo (ossia sanitari di supporto o assistenti di cura, che ipocritamente chiamiamo “badanti” eliminando del tutto l’aspetto relazionale, rilevante sia per il caregiver che per la persona assistita) o formale, cioè nell’ambito di un’organizzazione di volontariato quale Avapo.

Nel complesso l’offerta di assistenza a persone non autosufficienti si fonda sulle tre diverse tipologie citate. Rimandando alla lettura delle fonti citate, passo direttamente ad alcune conclusioni e riflessioni.

Gli studi confermano che il profilo del caregiver familiare è prevalentemente femminile.

La recente pandemia ha messo in evidenza le fragilità strutturali dei sistemi di assistenza a lungo termine, tanto che nel 2022 la Commissione Europea ha presentato una strategia e una proposta di raccomandazione, adottata dal Consiglio europeo nel dicembre del 2022, sottolineando l’importanza del supporto anche psicologico al caregiver e di migliorare il settore dell’assistenza formale per rendere l’assistenza informale una scelta e non una necessità. C’è bisogno di un riconoscimento formale del caregiver e della rete sociale di supporti necessari per affrontare un ruolo impegnativo. Molti i disegni di legge presentati in Italia: unire le proposte più qualificanti di ognuno potrebbe portare a una legge sensata che riconosca tale figura.

La fascia d’età con maggiore percentuale di caregiver è quella dai 45 ai 64 anni, la percentuale tra i 65 e i 74 anni è rilevante; l’impegno copre dunque una fase della vita nella quale ci si penserebbe liberi da impegni di cura, prima di diventarne oggetto in quanto anziano non autosufficiente.

Un’alta percentuale di caregiver si colloca al di fuori del mercato del lavoro, pur svolgendone uno rilevante, non retribuito e non riconosciuto a fini pensionistici ma quantificabile anche in termini economici, consistenti in un Pil che tenga conto anche del lavoro informale. Le famiglie con persone con disabilità hanno in media un livello più basso di benessere economico. Importantissimo il sostegno offerto sia da reti informali (ancora una volta non riconosciute) che da quelle formali. Dalle indagini emerge inoltre la necessità di sostituire/ integrare l’attività di caregiver inserendo personale esterno, con l’obiettivo di contenere lo stress fisico e psicologico quotidiano. Emerge anche l’esigenza di essere tutelati, retribuiti e formati per sostenere il ruolo, meno quella dell’espansione dei servizi residenziali, forse per motivi culturali.

Le ricerche descrivono un quadro di grande solitudine, fatto di responsabilità che solo in parte il caregiver riesce a condividere anche all’interno della famiglia. Ecco che la mia esperienza personale trova fondatezza: la solitudine di chi presta cure e, necessariamente, di chi ne riceve. Occorre pensare soluzioni nuove e diverse per evitare l’isolamento di chi assiste e di chi è assistito, che non siano riducibili o liquidabili col solo dato economico, per quanto questo vada riconosciuto; ripensare il supporto in termini di reti, formali e informali, che dialoghino realmente nel ripensare la relazione altrimenti unidirezionale tra il caregiver e il suo assistito. Con Stato ed Enti Locali, tutti siamo chiamati ineludibilmente a farlo.

 

Antonina Randazzo

preside dell’Istituto Comprensivo “Lazzaro Spallanzani” di Mestre

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