La pandemia e il senso di unità

La pandemia e il senso di unità

La Pandemia ci invita a sentire come nostro il dolore dell’umanità, a fare la nostra parte per alleviare le sofferenze altrui.

di Riccardo Da Lio

Abbiamo recentemente letto sui giornali notizie come questa: “Angela muore a ottant’anni, l’addio ai suoi cari con un biglietto dal letto dell’ospedale” oppure, “L’ultimo saluto attraverso lo smartphone”, o anche “Nelle RSA si muore di solitudine”. Espressioni che bene evidenziano l’inedita condizione umana in cui ci troviamo a vivere oggi, l’improvviso cambio di scenario delle nostre relazioni sociali, le nuove forme di solitudine conseguenti all’isolamento cui alcuni di noi vengono a trovarsi, in particolare negli ospedali e nelle residenze per anziani.
La solitudine, l’isolamento, la compromissione delle relazioni umane, che sono conseguenza delle misure di salute pubblica emanate dalle autorità politiche e sanitarie per contrastare la diffusione pandemica, alterano profondamente i nostri usi e costumi e ci privano di qualcosa di essenziale, il contatto fisico, il rapporto umano, il senso di vicinanza, di prossimità. Questa inedita condizione umana e sociale che ci costringe a vivere con gli ospedali e le case di cura blindati, accessibili ai familiari solo con forti restrizioni, con i servizi pubblici rigidamente regolamentati, con l’impossibilità a partecipare ad attività di gruppo, o di far visita ai nostri parenti ed amici, non può non generare un senso di frustrazione e di smarrimento.

Ci sono ragioni di sicurezza sanitaria che giustificano tale scelta, sicuramente dolorosa e a tutt’oggi sembra non vi siano alternative ai provvedimenti emanati per impedire il
progredire dei contagi. Ma rimane una soluzione che, in taluni casi, ha conseguenze strazianti: per esempio la separazione forzata dei malati dai loro cari è innaturale e
disumana, e pur emergenziale, turba il nostro animo.

Io credo che si debbano trovare le vie per ripristinare i contatti umani dei malati con i propri familiari e che l’azione politica, di concerto con gli esperti in materia, debba creare le condizioni affinché tali relazioni vengano presto ripristinate.

Di fronte a questo scenario inquietante, che sta producendo una metamorfosi del nostro vivere collettivo, non deve prevalere in noi il senso di indifferenza, di passività, di difensivo
isolamento dagli altri. Deve invece crescere in noi il desiderio di fare la nostra parte, di assumerci le nostre responsabilità, di sentire il dolore degli altri come nostro e
di collaborare per alleviare le sofferenze altrui. Solo un atteggiamento di cooperazione e di solidarietà da parte di ciascuno di noi verso gli altri può aiutarci a costruire una nuova umanità.
È sicuramente incoraggiante vedere come molti volontari, di varie associazioni presenti nel territorio, abbiano continuato, nonostante il rischio biologico sempre in agguato, ad assistere le famiglie che hanno malati in casa, a fornire loro medicinali, un trasporto, ausili e prestazioni varie a supporto del nucleo familiare. Ognuno di noi, nella sua sfera privata, può fare la sua parte dando attenzione a chi ha bisogno, attraverso un gesto di aiuto, una telefonata, riscoprendo il valore delle cose essenziali della vita, quelle che, di fronte alla sua precarietà, sono quelle che contano.

Per esempio, mi sembra sia cresciuta la consapevolezza di dare assistenza ai malati nella loro globalità, assicurando loro, per quanto possibile, anche un supporto
psicologico e spirituale. Da tempo questa associazione eroga un servizio di supporto psicologico proprio per aiutare i malati oncologici in fase di cura a ritrovare gioia
e interesse verso la vita, pur nella difficile esperienza. C’è molto da lavorare in questo senso per rendere la cura più umana, per far sentire a proprio agio chi è debole e fragile.
In questi mesi, alla luce dei numerosi ricoveri ospedalieri, AVAPO-Mestre si è adopera per garantire l’assistenza a domicilio dei pazienti, che si è rivelata una valida alternativa alla degenza
ospedaliera, evitando sofferte situazioni di isolamento del malato dai propri cari.

Questo ci fa capire come le famiglie, opportunamente sostenute dalle strutture sanitarie e dalle organizzazioni di volontariato locali, possono divenire un elemento centrale di assistenza
personalizzata del malato.
Ma vi è altresì un altro fattore che riguarda la dignità stessa della persona e della vita umana, oggi messo alla prova dal coronavirus, quello di evitare a coloro che sembrano
non farcela, inutili sofferenze. Proprio in tale drammatico contesto, le cure palliative, già utilizzate nella malattia oncologica al fine di migliorare la qualità della vita nella
fase terminale, si sono rivelate utili per gestire situazioni di grave sofferenza fisica e psicologica anche per i malati di Covid-19.

La pandemia impone dunque a tutti noi, come ai responsabili politici, agli operatori sociali, ai medici di cooperare per uscirne insieme.
Vi sono sicuramente dei segnali positivi di nuove aperture verso gli altri, come ci rivela papa Francesco nella sua ultima enciclica sociale.
L’emergenza sanitaria non può essere affrontata solo dagli esperti di settore e dai responsabili politici e istituzionali; deve essere fatta propria da tutti noi, ciascuno è chiamato a fare la sua parte, ad amare anche chi non vive vicino a noi.
Prendersi cura di sè e degli altri con senso di responsabilità e con le ragioni del cuore che devono indurci a praticare concretamente la solidarietà, consapevoli che usciremo da questa condizione solo insieme, solo con una coscienza collettiva, con un forte senso dell’unità.

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