INTERVISTA A EDOARDO PITTALIS
Edoardo Pittalis, al Gazzettino e a Mestre dal 1980. Editorialista del Gazzettino del quale è stato a lungo vicedirettore. Autore di libri che hanno avuto varie edizioni, tra gli altri: “Cossiga”, “Dalle Tre Venezie al Nordest”, “La guerra di Giovanni”, “Il sangue di tutti”, “Rosso Piave”, “1948”, “La Serenissima e le epidemie” … Dai suoi libri sono stati tratti spettacoli teatrali portati sulla scena con Gualtiero Bertelli e la Compagnia delle Acque.
- Per oltre 10 anni lei è stato vicedirettore del quotidiano “Il Gazzettino” e, ancor prima, caporedattore. Questa lunga esperienza l’ha portata a conoscere bene il territorio del Nordest italiano. Quali sono oggi i punti di forza e dove si può migliorare?
“Attraversiamo un momento confuso sotto molti aspetti. È difficile oggi parlare di solo Nordest senza rapportarsi alla realtà che lo circonda, e non soltanto in Italia. Oggi queste regioni godono dell’eredità di un recente passato importante e solido: la nascita del moderno Nordest sul finire del Novecento ha lasciato benessere e tracciato un futuro che, fortunatamente, non si è esaurito ed è stato indispensabile per fronteggiare le crisi. Questa è una zona di forte imprenditoria, che guarda all’export con sicurezza. Il Veneto è tra le regioni che esportano di più in Europa. Ha ricchezze inimmaginabili per altre regioni: dal turismo all’enogastronomia, con un numero di presenze turistiche in crescita continua e produzioni di vino richieste in tutto il mondo. Il Prosecco è oggi il vino più venduto e si avvia verso un mercato di un miliardo di bottiglie l’anno. Il problema è fare in modo che non tutto si racchiuda e si esaurisca in turismo e vino, ma che insieme si conservino e crescano la manifattura, l’artigianato di qualità, la piccola e media impresa e tutto quello che ha contribuito a costruire il Nordest: l’alta moda, l’occhialeria, la scarpa, l’oreficeria, le macchine e i macchinari di ogni tipo, i settori caseario e agricolo, il radicchio… Da come verrà risolta questa sfida si capirà il futuro del Nordest. E per vincerla occorrono strade adeguate, reti ferroviarie, infrastrutture portuali e aeroportuali. Servono aperture sociali e una consapevole coscienza di dove siamo arrivati e con chi siamo arrivati. Questa è una terra di integrazione e di solidarietà, ma rischia di scivolare nel momento in cui dimentica questi valori. La storia insegna sempre qualcosa, basta non chiudere gli occhi”.
- Il ruolo della comunicazione e dei mass media in generale è preso nella giusta considerazione o viene a volte snobbato?
“Una popolazione e un paese crescono se conoscono, se sono liberi di sapere e anche di sbagliare. Non c’è dubbio che la comunicazione oggi soffra di una crisi pesante: la carta stampata non è mai stata così trascurata, si legge sicuramente di meno e i social, con tutti i loro strumenti, non bastano a colmare il gap. L’informazione online per ora è limitativa: la gente si ferma ai titoli e raramente approfondisce. I social sono invasivi e offrono, assieme alla possibilità di intervenire, anche quella di pensare di avere sempre ragione, di scatenarsi contro il presunto avversario, di criticare chiunque la pensi diversamente. L’informazione ufficiale risente troppo della politica: più che televisioni e giornali che informano, spesso siamo davanti a programmi e pagine di parte, a comunicatori quasi sempre di partito. Questo riduce la credibilità dell’informazione, la ridimensiona e le toglie autorevolezza. Senza trascurare il fatto che basta un cellulare per trasmettere in tempo reale una notizia e un’immagine da qualunque parte del mondo. Intanto, il mondo social – o meglio, chi lo controlla – riesce a imporre idee, prodotti, parole d’ordine. L’informazione rischia di diventare un Far West senza regole. Occorre intervenire subito con leggi che tutelino, prima di tutto, la libertà di opinione e di comunicazione. È uno dei cardini della democrazia. La nostra voce è un coro, non deve cantare sempre la stessa canzone. Anzi: deve stonare, gridare, sussurrare, ma sempre e soltanto in piena libertà”
- Lei conosce l’Associazione AVAPO Mestre? Cosa ne pensa?
“È una realtà nota e fondamentale. È la dimostrazione che il volontariato, in una regione come il Veneto, ha sempre alzato la voce in positivo e in ogni settore. Contribuire all’assistenza domiciliare per i malati oncologici ha un senso profondo in una società che, fortunatamente, non ha perso i valori di base. Sopperire a un sistema sanitario che non può fare tutto, pur vivendo in una regione dove la sanità è di grande efficienza, significa svolgere un’opera importante, volta a migliorare la qualità della vita di migliaia di persone che combattono contro malattie spesso terribili. Aiutare i pazienti nelle loro necessità, accompagnarli in ospedale per le cure, riportarli a casa, assisterli nei momenti più delicati: tutto questo comporta una coscienza e una consapevolezza non sempre riscontrabili.
Viviamo tempi di egoismo, di chiusure, di preconcetti. Ma siamo anche una popolazione che invecchia, è sempre più fragile, spesso fatta di persone sole, per le quali anche soltanto scambiare poche parole può significare qualità della vita.
L’AVAPO di Mestre è esemplare in questa funzione. Credo che il Veneto abbia sempre fatto bene in questo settore e che i veneti abbiano la fortuna di avere ereditato valori religiosi solidi e una solidarietà laica penetrata sotto la pelle. È il modo giusto per non essere sconfitti dall’indifferenza, che è il male peggiore”.
- Il volontariato può essere visto come una “metafora” della vita e in qualche modo si può ritenere come una forma di beneficenza?
“Il volontariato caratterizza un popolo in meglio, non lo omologa agli indifferenti. Reagisce e interviene dove il pubblico non ce la fa o è assente, ne prende il posto se lo spazio è stato lasciato colpevolmente vuoto. Certo è anche metafora della vita: nessuno può sapere cosa accadrà, nessuno può avere la certezza di non avere mai bisogno dell’altro. Viviamo in un mondo spesso tumultuoso che corre, brucia i tempi, esplode in fenomeni non sempre contenibili e prevedibili. Sapere che attorno c’è gente che guarda e bada a chi ha meno, a chi ha bisogno, a chi è solo, aiuta a non precipitare, a salvarsi. Il volontariato ha questa funzione, sai che c’è chi ti guarda anche se non ti conosce.
Forma di beneficenza? Anche, soprattutto anonima. Nessuno ha bisogno di far sapere che dona, lo fa perché lo sente, lo fa nella misura che gli è consentita, lo fa a volte privandosi del poco per donarlo. Si mette a disposizione se ritiene di essere utile. Non è ostentazione del benessere raggiunto, è carità cristiana, solidarietà laica, coscienza civile, consapevolezza di un popolo che sa di essere stato fortunato e libero e non ha paura o vergogna di mostrare umiltà. Non c’è superiorità nel volontariato e nella beneficenza, non c’è ostentazione. Sei come gli altri che non raramente sono meglio di te”.
- Una domanda che poniamo sempre nelle nostre interviste riguarda il triste fenomeno legato alla droga ed ai conseguenti casi di violenza. A Mestre il problema è dilagante. Cosa ne pensa? Per contro quali sono i punti a favore della nostra città ovvero dove e come è cresciuta Mestre e viceversa cosa manca per fare un effettivo salto di qualità?
“Faccio il giornalista da più di cinquant’anni, il problema della droga c’era già, e anche quello del consumo da parte dei giovani. Un fenomeno che ha avuto e ha molte stagioni. Da qualche tempo Mestre è nell’occhio del ciclone, anche per la sua posizione geografica: nodo ferroviario e stradale tra Est e Ovest, tra mercati della droga e mercanti. Città in tempi recenti anche occupata, per zone, da un’immigrazione non sempre regolamentata e con una classe politica che non ha badato a evitare il rischio ghettizzazione. Si sono creati fenomeni difficili da controllare, si è intervenuto in ritardo anche dove sarebbe bastata una sana operazione di prevenzione. Non serve blindare una strada, si favorisce semplicemente il trasferimento del traffico. Si rischia che spacciatori e consumatori occupino strade e piazze sempre più spostate al centro.
Ora si corre ai ripari con molti problemi e incognite. Mestre è diventata turisticamente la terraferma di Venezia, si è riempita di alberghi anche di grandi dimensioni, di B&B e case in affitto, attira per mille motivi una massa in crescita, molti sono i giovani. Forse siamo ancora in tempo per reagire. Mestre merita di ritornare città di vivi, capace di crescere con un ruolo non subordinato. Credo che Mestre sia in questo momento una città in crisi di identità.
Per decenni è stata il dormitorio di Porto Marghera che era la zona industriale con la più alta concentrazione operaia d’Europa. È cresciuta in fretta col mal de la piera, quasi in una notte, disordinata ma ricca di mille etnie e dialetti, di mille forze giovani, ha preso sulle sue spalle tutto quello che Venezia non era disposta a sopportare. È cresciuta in maniera anche abnorme, arrivando a diventare da sola la città più popolosa del Veneto. Con la crisi del Petrolchimico si è dovuta reinventare, ancora una volta per prendersi sulle spalle quello che non ci sta a Venezia: un popolo di turisti che ogni mattina su pullman, tram e treno vanno ad affollare Venezia e la sera rientrano. Non solo, si è presa anche il compito di ospitare la popolazione – in gran parte costituita di immigrati – che alimenta ristoranti, bar, botteghe e servizi della capitale del turismo. Un altro popolo che esce all’alba e rientra a notte fonda. Mestre sta ancora interrogandosi sul domani. Da come risponderà si disegnerà il futuro della vera città”.
- Un tema moto ricorrente è quello legato al “suicidio assistito” con l’assistenza diretta del servizio nazionale. Papa Francesco si è espresso dicendo “è un principio etico fondamentale su cui tutti, credenti e non credenti, possono ritrovarsi”. Qual è il suo parere?
“Uno Stato serio e attento avrebbe dovuto già dare una risposta a questo tema. La vicenda di Eluana Englaro avrebbe dovuto insegnarci molte cose, invece è scivolata come acqua sul marmo, come accade a molte cose in Italia. Una persona deve poter decidere su un tema così fondamentale e privatissimo. Non è possibile vedere gente costretta a sconfinare in Svizzera per un diritto che deve poter avere in Italia. Certo esistono resistenze, remore, principi e valori etici e religiosi importanti e che non possono essere trascurati. Ma uno Stato è davvero uno Stato quando sa affrontare e risolvere anche problemi di questa entità. Il Veneto, per la verità, con Zaia ci aveva provato ed era stato un passo notevole e anche di coraggio politico e civile. Qualcosa lo ha impedito, è necessario ricominciare. Ma ripeto deve essere lo Stato a rispondere con una legge che coinvolga il sistema sanitario pubblico. La libertà va garantita sempre, non è una coperta coi buchi”.
- Un’ultima domanda. I giovani vanno poco al cinema, a teatro e da un recente sondaggio risulta che leggano poco. A cosa è dovuta questa forma di disinteresse verso un certo tipo di cultura?
“Sono cresciuto col cinema, continuo ad amarlo. Mi ha insegnato molto, mi ha fatto scoprire il mondo, pensare, riflettere, ridere, piangere, gridare, sognare. Senza il cinema sarei cresciuto più cretino. L’Italia dovrebbe fare qualcosa perché i giovani ritornino al cinema, ritornino a leggere i libri e i giornali, vadano al teatro, affollino i concerti, vadano allo stadio, guardino la tv. È la nostra cultura, non la si sostituisce con un telefonino, con un sms o uno dei nuovi mondi social. Attenzione all’analfabetismo di ritorno, ci sarà un motivo se persino un laureato ha difficoltà a leggere ad alta voce o a riassumere quello che ha letto? Uno Stato ha il dovere di salvaguardare le proprie basi culturali, di far crescere una scuola che allevi cittadini di domani colti e consapevoli, di aiutare gli strumenti che diffondono la cultura. E i libri, i giornali, le sale cinematografiche e tutti gli altri strumenti sono diffusori di cultura sana. Raccontano la realtà e ci sarà sempre qualcuno al quale la verità non piacerà”.
Attualmente è il direttore del settimanale “èNordest”
Valter Esposito
Direttore responsabile di “Per Mano”